Durata e rinnovo delle locazioni convenzionate

Nello scorso mese di Aprile, la sede della Spezia, presso la sala “Antonietta Paganelli”, ha tenuto una partecipata tavola rotonda sulla “Durata e rinnovo delle locazioni convenzionate”.

I contratti di locazioni abitative convenzionate, dette anche locazioni a canone concordato, sono stati introdotti dalla Legge 431/1998 e configurano un regime normativo alternativo rispetto a quello delle locazioni libere.

Tali contratti si caratterizzano per la facoltà delle parti di definirne la durata, la misura del canone e le altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi conclusi in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e quelle maggiormente rappresentative dei conduttori, che provvedono anche alla definizione di contratti-tipo. La possibilità di stipulare contratti convenzionati è riservata alle sole abitazioni presenti in comuni ad alta densità abitativa che abbiano stipulato una convenzione con le associazioni di categoria.

Sono molteplici i vantaggi, principalmente di natura fiscale, riservati al locatore che opti per tale soluzione, tra cui la evidente possibilità di affittare l’immobile per periodi più brevi. Infatti le locazioni convenzionate non possono avere durata inferiore ai tre anni (ma può essere concordata anche una durata di quattro o cinque anni). Alla scadenza, ove le parti non concordino sul rinnovo del contratto ed il locatore non intimi la disdetta motivata del contratto (ossia non eserciti il diritto di recesso, con preavviso di sei mesi, per modifica d’uso dell’immobile, necessità di eseguirvi interventi oppure vendita), il contratto è prorogato di diritto per due anni.

Trascorso il periodo di proroga biennale, ciascuna delle parti ha il diritto di azionare la procedura per rinnovare il contratto a nuove condizioni oppure può rinunciare al rinnovo dello stesso mediante l’invio di lettera raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza. Qualora nessuna delle parti si attivi, e quindi di fronte alla inerzia di entrambe le parti, il contratto si intende “rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”. L’espressione impiegata dal legislatore ha fatto sorgere innumerevoli dubbi interpretativi circa la durata di tale rinnovo, non essendo stato precisato se, trascorso il primo quinquennio (3 anni + 2 anni), il rinnovo sia di ulteriori 3 anni, oppure di 2, o addirittura di altri 3+2. Se l’infelice formulazione della norma ha creato perplessità in ambito dottrinale, sono evidenti i timori che possono sorgere al singolo proprietario che si trovi a dover valutare se rinunciare o meno al rinnovo del contratto. Al fine di dirimere ogni dubbio è quindi opportuno precisare che la giurisprudenza intervenuta negli ultimi anni, e con essa la dottrina, ritiene che il rinnovo sia di tre, quattro o cinque anni, ossia pari alla durata originaria del contratto. Di conseguenza, alla scadenza del quinquennio (3 anni+2 anni), in mancanza di rinuncia, il contratto andrà rinnovandosi di ulteriori tre anni in tre anni (in caso di 5 anni+2 anni si rinnoverà di altri cinque anni in cinque anni, e così via).

La ratio di tale meccanismo trova applicazione anche nella disciplina delle locazioni abitative a canone libero (anche se in tale ambito risulta meno evidente), in quanto il congegno del diniego di rinnovazione viene espressamente ricollegato alla prima scadenza. Ne consegue che, se il contratto di durata originaria di 4 anni verrà ad essere protratto per altri 4, trascorsi 8 anni le parti potranno intimare disdetta pura e semplice, altrimenti il contratto si rinnoverà ulteriormente di 4 anni in 4 anni (e non di 4+4).

Quindi, nei contratti cd. liberi alla seconda scadenza si ha un rinnovo tacito di 4 anni, mentre nei contratti agevolati, dopo il biennio di proroga, si ha il rinnovo tacito di tre anni (o quattro, o cinque). Per chiarire ulteriormente la questione, è sufficiente esaminare la portata attribuita dal legislatore al termine “proroga”, come tale dovendosi intendere una mera prosecuzione del rapporto originario secondo i termini di legge. L’uso di tale lemma deve essere ricondotto al fatto che l’inerzia delle parti, ossia il mancato rinnovo e la mancata rinuncia allo stesso, determina la continuazione dell’originario contratto, che quindi resta ancora in vita. Ne consegue che la sua durata sarà quella pattuita e convenuta in origine dai contraenti, dunque tre, quattro o cinque anni.

Avv. Marco Angelini

commissione legale Appc La Spezia 

Quanto contenuto nel presente articolo ha carattere esemplificativo e non esaustivo per approfondimenti specifici occorre consultare, se iscritti , la sede A.P.P.C.

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