Ancora sui limiti all'uso delle parti comuni nel Condominio.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 11445 del 3 giugno 2015 : principi e linee guida.

Si ritiene di interesse per i piccoli proprietari che, spesso, in ambito condominiale devono affrontare o sono posti nelle condizioni di dover affrontare situazioni incerte e/o di “confine”, quali quella dei limiti all’uso di parti e/o cose comuni da parte di un singolo condomino, esaminare i principi in materia, da ultimo fissati e precisati nella sentenza della Suprema Corte n. 11445/15 (pubblicata per esteso sul sito Altalex).

La Suprema Corte ha, in subiecta materia, precisato alcune linee guida che qui sommariamente si portano all’attenzione di chi legge e cioè :

1)    In primo luogo nella fattispecie presa in esame, ma da valere in linea generale nell’ambito del Condominio, si rende operante, come già antea riforma, la normativa di cui all’art. 1102 c.c., per cui ogni comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa e/o diversa da quella eventualmente ricavata dagli altri comproprietari, a condizione che non venga alterata la destinazione della cosa o della parte comune o “compromesso il diritto di pari uso”;


2)    Tale principio non è peraltro confliggente con l’art. 1117 quater c.c., introdotto dalla Legge n. 220/2012, che si limita a rendere possibile ai condomini una maggior tutela delle situazioni di interesse concreto in ambito condominiale e bilanciando, per così dire, gli eventuali opposti interessi;


3)    L’art. 1102 c.c. è applicabile al Condominio, visto il richiamo dell’art. 1139 c.c. e deve essere integrato con la disposizione dell’art. 1120 c.c., anche in base al testo post riforma;


4)    Ritiene la Suprema Corte che il singolo condomino, al fine di trarre utilità più intensa o diversa dalla cosa comune, può apportare alla stessa le modifiche del caso “sempre sul presupposto che l’utilità non sia in contrasto con la specifica destinazione della cosa o a maggior ragione che la cosa non perda la sua normale ed originaria destinazione” (nel pronunciamento venivano richiamate le precedenti, in senso conforme, statuizioni della Corte Cass. n. 12310/11 e n. 1062/11);


5)    Nella sentenza qui commentata si sono presi in esame alcuni casi e/o ipotesi di uso della cosa comune consentita al singolo condominio ai sensi dell’art. 1102 c.c. e ad esempio : l’apertura di finestra o la trasformazione di luce in veduta su un cortile comune (Cass. 13874/10); il taglio parziale del tetto per ricavarne un terrazzo (Cass. n. 14107/12 e Cass. 2500/13);  l’apertura nell’androne condominiale di nuovo ingresso a favore dell’immobile di un condomino (Cass. n. 42/00, Cass. n. 8591/99 e Cass. n. 24295/14);


6)    Sempre nel pronunciamento, la Suprema Corte ha ritenuto che si debba valutare la situazione concreta alla luce dei principi di cui agli artt. 1102, 1120 e nel caso di opere eseguite nella proprietà esclusiva, dell’art. 1122 c.c. Ha precisato la Corte di Cassazione che è giustificata l’applicabilità della norma sopra richiamata, in relazione alla modifiche che il singolo condomino apporta alla cosa comune, per servirsene in modo più intenso, sia all’attività che il singolo svolga sulla cosa propria al fine dell’uso più intenso, sempre con riferimento alla utilità che possa eventualmente trarsi, anche indirettamente, dalla cosa comune e veniva citato, quale precedente, il pronunciamento della Suprema Corte n. 18350/13;


7)    In particolare, la riforma apportata dalla Legge 220/12 ha, ad avviso della Corte di Cassazione, “per così dire completato” l’art. 1122 cc., recependo l’orientamento giurisprudenziale precedentemente adottato;


8)    Infine e per completezza, la Corte ha fatto anche riferimento al concetto di decoro architettonico del fabbricato che deve essere necessariamente tutelato, assieme alla stabilità e sicurezza dell’edificio e stabilendo nel caso il principio di diritto al quale doveva attenersi il Giudice del rinvio, indicandolo come segue :”ogni condominio ………….. senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione (può apportare alla cosa comune), tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune, una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta degli altri condomini e, quindi, procedere anche all’apertura o all’ampiamento di un varco di accesso al cortile condominiale o alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non alteri la destinazione del muro o delle altre cose comuni, non comprometta il diritto al pari uso e non arrechi pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico del fabbricato”.


9)    Si fa peraltro notare come la sentenza qui sommariamente esaminata sia del tutto in linea con le precedenti pronunce giurisprudenziali e orientamenti della dottrina, che ritenevano applicabile per l’uso dei beni comuni l’art. 1102 c.c., in base al richiamo operato dall’art. 1139 c.c., per cui ogni partecipante alla comunione può servirsi della cosa a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca gli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto; a tal fine il condomino può, a proprie spese, apportare alla cosa comune le modificazioni necessarie per un maggior e/o miglior o più intenso godimento della cosa stessa, godimento che verrebbe a concretarsi in due situazioni distinte e cioè quella dell’obiettiva utilizzazione della cosa e, per converso, il godimento soggettivo della cosa stessa (si vedano le osservazioni in tal senso nel “Codice Ipertestuale di Locazione e Condominio – Condominio, a cura di Maurizio De Tilla, Utet, Torino, 2006, commento agli artt. 1120 e 1102 c.c.”)

Avv. Roberto Negro
Centro Studi Nazionale APPC

Quanto contenuto nel presente articolo ha carattere esemplificativo e non esaustivo per approfondimenti specifici occorre consultare, se iscritti , la sede A.P.P.C.

Condividi Articolo:   
SU