Interpretazione Legge di stabilità 2016

(Legge 26/12/15 n. 208 pubblicata sulla G.U. del 30 dicembre 2015, S.O. n. 70)

I componenti dell’area giuridica del Centro Studi APPC hanno predisposto il seguente elaborato allo scopo di fornire le interpretazioni critiche alla Legge di stabilità 2016 per ciò che concerne la proprietà.

Da un’analisi complessiva del testo della legge, sembra che si tratta di una pletora di norme prive di un organico collegamento tra le stesse e che parrebbero emanate solo in relazione ad esigenze contingenti e forse per adeguarsi a richieste ed istanze di diverse forze politiche.

Al comma 59 della Legge di stabilità il legislatore ha introdotto delle disposizioni in tema di locazione e condominio ed in particolare, oltre a sottolineare la nullità delle pattuizioni volte a determinar un canone di locazione superiore rispetto a quello scritto e registrato (tema da sempre affrontato dalla giurisprudenza), ha previsto un preciso obbligo per il locatore.

Difatti, il legislatore ha modificato l’articolo 13 della legge 431/1998, introducendo l’obbligo della registrazione del contratto di locazione ad esclusivo carico del proprietario nel termine perentorio di trenta giorni, imponendo allo stesso di darne comunicazione, entro i successivi 60 giorni, sia al conduttore sia all’amministratore del condominio affinché aggiorni il registro di anagrafe condominiale. Si precisa che l’obbligo di comunicazione all’amministratore di condominio in caso di affitto è già previsto dalla L.220/2012, che ha istituito il registro di anagrafe condominiale all’art. 1130 c.c. punto 6). L’obbligo di registrazione del contratto a carico del solo proprietario parrebbe stravolgere lo schema di responsabilità solidale a carico delle parti in caso di mancata registrazione.

Per quanto riguarda le locazioni irregolari, viene previsto che la mancata registrazione da parte del locatore del contratto entro il termine perentorio dei 30 gg dalla sottoscrizione, legittima il conduttore a chiedere al giudice di ricondurre la locazione a condizioni conformi a quelle previste per i contratti quadriennali ex articolo 2, comma 1, della legge 431/1998, o per quelli con canone concordato.

Può scattare, pertanto, la richiesta di restituzione delle maggiori somme versate rispetto al dovuto, azione che può essere esperita in qualsiasi momento del rapporto di locazione, e comunque entro sei mesi successivi all’effettivo rilascio del bene locato. Sarà il giudice a determinare la misura del canone dovuto e a stabilire la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.

Tale disposizione ha previsto delle conseguenze molto pesanti a carico del locatore. Molte erano state già le problematiche sorte dopo che la Corte costituzionale, con plurimi interventi, aveva eliminato la possibilità - concessa ai conduttori dal Dlgs 23/2011 - di penalizzare il locatore che non aveva registrato il contratto o lo aveva fatto per importi inferiori. Parecchi inquilini, beneficiando di questo decreto, erano usciti da una situazione di illegalità e avevano pagato affitti molto meno pesanti: la riduzione del canone annuo a una misura pari a tre volte la rendita catastale portava il corrispettivo della locazione a livelli addirittura al di sotto della quantificazione imposta dalla legge dell’equo canone.

Dichiarata l’incostituzionalità della norma, per costoro si era presentato il serio rischio di dover versare le maggiori somme non corrisposte rispetto a quelle originariamente pattuite e di vedersi risolto il contratto. Con la sentenza 169 del 16 luglio scorso, la Corte costituzionale ha infine escluso che le agevolazioni previste dal Dlgs 23/2011 potessero proseguire fino al 31 dicembre 2015.

Il nuovo comma 5 dell’articolo 13 conferma che, per tutti coloro che, in forza del Dlgs 23/2011, hanno versato un corrispettivo ridotto fino alla data di pubblicazione della sentenza (il 16 luglio 2015) che ha definitivamente dichiarato l’incostituzionalità dei commi 8 e 9 dell’articolo 3 del Dlgs 23, la misura del canone o dell’indennità di occupazione per tale periodo è pari, su base annua, al triplo della rendita catastale dell’immobile.

Non si vede come un’irregolarità fiscale possa riverberarsi sul contratto locatizio fino al punto di mutare l’originaria volontà delle parti e si dovrebbe censurare la pervicace ostinazione del legislatore nel riprodurre norme che sono già state sostanzialmente ritenute in contrasto con i principi della nostra Carta costituzionale e non in linea con una interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma, come dottrina e giurisprudenza che ritengano necessaria ai fini dell’applicazione delle disposizioni legislative. L’intervento del legislatore non è stato sufficiente se lo scopo era quello di far emergere gli “affitti in nero”, atteso che si è limitato a regolamentare i contratti scritti e registrati, e non quelli “verbali” che sono ampiamente diffusi. Si riproduce, pertanto, quanto era comunque previsto dalla 431/98.

L’altra norma che interessa i Piccoli Proprietari è quella relativa alla disciplina fiscale del contratto di comodato ai parenti entro il primo grado in linea retta, nonché quella relativa all’aspetto fiscale dell’imposizione sulla casa di cui venga attribuito l’uso, giudizialmente, al coniuge separato. Tale limitazione appare discutibile oltre, a evidenziare una scarsa chiarezza della disposizione normativa.

La norma ha anche innovato in relazione al cosiddetto contratto di locazione finanziaria di immobile (c.d. leasing immobiliare). In pratica, con il contratto di locazione finanziaria in questione, la banca o l’intermediario finanziario concedente “si obbliga ad acquistare o far costruire l’immobile su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo mette a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo d’acquisto o di costruzione e della durata del contratto”.

Alla scadenza del contratto è riconosciuta all’utilizzatore la possibilità di riscattare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito. In caso di difficoltà, il concedente può richiedere la sospensione del pagamento delle rate per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a dodici mesi nel corso dell’esecuzione del contratto, che sarà automaticamente prorogato per il periodo corrispondente alla sospensione.

Anche se si tratta di un problema solo indirettamente collegato all’abitazione, si segnala che il pagamento del canone televisivo abbinato ad un’utenza di energia elettrica, parrebbe essere oggetto di possibili contestazioni e difficoltà applicative.


Fonte Centro Studi Nazionale APPC
 

Quanto contenuto nel presente articolo ha carattere esemplificativo e non esaustivo per approfondimenti specifici occorre consultare, se iscritti , la sede A.P.P.C.

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