Per chi opera nel settore immobiliare le procedure di sfratto rappresentano, da sempre, un settore importante da conoscere o da esplorare nelle sue varie complicanze procedurali.
E infatti chiaro che esse incidono sulla normale gestione degli immobili complicando, spesso, la trasferibilità degli stessi (riverberando, quindi, anche sul loro valore) in quanto sottratti, anche per ragioni sovente politiche, alla piena disponibilità dei proprietari.
Si legge infatti, spesso, di “proroghe degli sfratti” che altro non sono che provvedimenti legislativi destinati a procrastinare l’entrata in possesso da parte dei proprietari di immobili di loro proprietà e oggetto di rapporti di locazione, ormai conclusi nella loro durata di base, al fine di aiutare parte della popolazione sprovvista di altri alloggi a reperire altre sistemazioni a condizioni non troppo sfavorevoli.
In quest’ottica di sostegno ad una parte, presunta debole, degli italiani e non solo di essi, oltre alle predette proroghe si sono aggiunte, anche di recente, una serie di novità legislative e/o regolamentari che, di fatto, si stanno rivelando assai penalizzanti per la proprietà immobiliare e di riflesso, per l’intero mercato della casa.
Alcune di queste, di natura “tecnica” e proprio per questo spesso poco conosciute ai non operatori del settore giustizia, sono descritte a seguire all’insegna di una opportuna, almeno a parere di chi scrive, informativa.
E recentissimo, ad esempio, l’intervento del legislatore (nota) sull’art. 609 del codice di procedura civile che impone al proprietario, che è prossimo alla liberazione di immobile a seguito di procedura di sfratto, di inviare un atto al proprio inquilino (nel caso in cui, in particolare, questi tenda a non farsi trovare in casa) con cui lo avvisa che, intervenuto il rilascio, dovrà poi provvedere altresì a sgomberare, entro un certo termine, l’appartamento da arredi e/o altri effetti personali.
La norma all’apparenza sensata e comprensibile lo è certamente meno se si considera che, sino a prima della sua entrata in vigore, l’invito contemplato dalla stessa era comunque fatto dall’Ufficiale Giudiziario in sede di esecuzione dello sfratto senza, in quel caso, alcun aggravio di spese a carico del proprietario immobiliare.
Ora, per tutte le procedure ove l’inquilino sia difficilmente reperibile, la proprietà dovrà sostenere un nuovo ulteriore balzello (il costo per l’incombente dell’avviso) che poteva benissimo essere evitato lasciando le cose come stavano; ciò tra l’altro lasciando al prudente apprezzamento dell’Ufficiale Giudiziario la valutazione del termine da dare all’occupante (sfrattato) per portare via le sue cose.
In aggiunta, almeno a Milano dove il sottoscritto opera da anni, le procedure in questione (sfratti) non sono più attivabili nei tempi previsti dal codice di procedura ma scontano “la prenotazione” della prima udienza (c.d. udienza di convalida) un po’ come succede in salumeria e/o al supermercato per l’acquisto di alimentari.
Una moda? Uno sfizio per rendere un po’ più varia la vita grigia dei tribunali?
In realtà no.
Trattasi dell’ennesimo espediente per allungare procedure che ove marciassero coi tempi delle norme di legge e/o con quelli di qualche solerte collega rischierebbero di mettere in strada, troppo in fretta, persone poi destinate a gonfiare i numeri del c.d. disagio abitativo.
Va da se’ infatti che il sistema della prenotazione appena descritto ha allungato e spesso di molto, i tempi per poter sottoporre al giudice il caso che interessa.
Vi sono periodi dell’anno dove la prima prenotazione utile è a distanza di mesi quando la procedura consentirebbe, invece, di essere innanzi al magistrato in un tempo anche inferiore al mese.
Sempre con ottica poco attenta agli interessi del mondo immobiliare risultano da anni, verrebbe da dire da sempre, carenti di motivazioni reali (pur dovute ex lege) i provvedimenti giudiziali che fissano l’inizio delle procedure esecutive di rilascio quando l’inquilino adduca, come fa sempre nel caso, qualche particolare ragione per cerar di resistere nell’immobile più che gli è possibile.
Tra la richiesta di massima permanenza dell’inquilino e la ferma opposizione in tal senso del proprietario, che ha magari serissimi motivi/esigenze per voler riprendersi il proprio immobile, la magistratura applica criteri salomonici frequentemente svincolati da un esame serio e attento dello specifico caso.
In ragione di quanto sopra il valore immobiliare vero risente e risentirà, vi è da ritenere ancora per anni, di situazioni, come quelle appena accennate, ove il diritto di proprietà viene inspiegabilmente compresso oltre i limiti del consentito.
Avv. Arnaldo Cogni
Centro Studi APPC
Quanto contenuto nel presente articolo ha carattere esemplificativo e non esaustivo per approfondimenti specifici occorre consultare, se iscritti , la sede A.P.P.C.